Aldo Fittante da Film TV (5/11/05) - Torna su (Up)

… il primo lungometraggio di Stefano Pasetto merita, è ben scritto, sfrutta Trieste come location dell'anima e si lascia accompagnare con dolente melanconia ai puntuali tratteggi delle note della Banda Osiris. Strutturato a incastri, come la partita di Scarabeo che sorregge lo sviluppo narrativo, gioca di sottrazione, ha pudore e rispetto per chiunque, e non si lascia incantare dalle lusinghe delle facili scorciatoie. Scelti con cura i comprimari (tra i quali spiccano Luigi Diberti, Chiara Sani, Vittorio Amandola e Gordana Miletic), e bravissimi i due protagonisti, dal Fabrizio Rongione di Rosetta all'ormai matura Barbora Bobulova, cuore sacro di un'opera che, con umiltà, ha l'ambizione di circondare con amore alcuni disagi del galoppante, cinico, egoista mondo contemporaneo....

Leonardo Jattarelli da Il Messaggero, 6 maggio 2005 - Torna su (Up)

In questo equilibrismo temporale, Stefano Pasetto, il regista di Tartarughe sul dorso al suo debutto nel lungometraggio, sceglie efficacemente, in controtendenza, di immergere la storia nella dimensione rarefatta di una Trieste impersonale, dove magicamente basta sfiorarsi, a volte, per riconoscersi.

Alessandra Miccinesi da Cinespettacolo.it - Torna su (Up)

E’ questo un film sui piccoli segni (una busta di plastica che danza nel vento; il funambolismo casalingo per allenarsi a guardare la gente dall’alto in basso; la tessera dello Scarabeo nella tasca di un camice bianco), un film su segreti da dimenticare, e sulle scelte che rendono tragicamente compiuti due destini.

12 Maggio 2005 Clara Collalti su Ciack Ti Voglio - Torna su (Up)

Una storia d’amore e sentimenti contrastati, a tratti davvero originale. […] Poche immagini che restano scolpite nella mente di chi guarda, poche, pochissime parole, come se tutto l’impianto narrativo del film fosse sostenuto dai non detti, da un silenzio molto più eloquente di qualsiasi dialogo che conduce spesso alla saturazione. Al posto delle parole i simboli, chiarissimi fin dai primi fotogrammi, tracce molto significative per lo spettatore più attento - tra le quali la musica, affidata alla Banda Osiris.

Marco Catola da Cinemainvisibile.com - Torna su (Up)

Un film anomalo che tenta di sovvertire le regole convenzionali di un genere intoccabile come il melò stravolgendo il senso narrativo con un montaggio ad ellissi e annullando l’obbligo di delucidazione del movente emozionale dei protagonisti. Un film che ha davvero poco di italiano. E per questo ben più apprezzabile di tanto altro cinema nostrano, trattandosi oltretutto di un esordio.
Con uno sguardo asciutto e nitido si ripercorre a ritroso la macchinazione istintiva, illogica e fortuita del destino che ha portato due anime sole a sfiorarsi, incontrarsi, lasciarsi, riprendersi, riperdersi. Paradossalmente un esordio che per atmosfera ed intensità, e non solo per la comunanza dell’attriceprotagonista (Barbora Bobulova), ricorda un altro esordio interessante, “La spettatrice” di Paolo Franchi. Insomma Pasetto e Franchi, due registi da seguire e tenere d’occhio. E se se ne accorgesse pure il pubblico italiano sarebbe meglio…

Matteo Mazza su Hideout - Torna su (Up)

Tartarughe sul dorso è l'audace tentativo di un esordiente regista italiano. Stefano Pasetto, al suo primo lungometraggio, si dimostra capace di raccontare una storia utilizzando alcune buone trovate espressive e stilistiche. Nel suo film di anime e di ricordi, di scelte e fatalità, cogliamo le potenzialità di un autore, sinora impegnato in documentari e cortometraggi, alla ricerca della migliore immagine e della migliora inquadratura, ricche di espressività e concettualità.
Il tempo narrativo si trasforma lentamente in un tempo stilistico del racconto. Tutto è disordinato, sconvolto. Come la loro vita. Che diventa un gioco di incastri, dove hai necessariamente bisogno della vita degli altri per sopravvivere. È un gioco di immagini e lettere, come un rebus. Destino complicato e indecifrabile. La vita che Pasetto vuole raccontare è questa: focalizzata sull'importanza dell'altro. Come un'impronta che rimane indelebile. Questa rimane su una schiena. Nella testa e nel cuore.

Alessio Guzzano da CITY - Torna su (Up)

Plastica che vola dal piede di lei a quello di lui, guidata dal Destino. I cruciverba su carta e quelli su pelle. L’animale del titolo, capace di sopportare tutto, ma anche reale pegno d’amore infantile. I tasselli dello Scarabeo che formano le parole chiave della vicenda che seguirà. Un amore inevitabile ripercorso in flash back. La pasticceria, l’ospedale, il carcere. La stanza spoglia martellata dal sesso professionista della vicina. Trieste: set suggestivo e poco sfruttato (chi ha visto la recente fiction con Buzzanca non ne avrà dimenticato i riverberi a far da sfondo a quelli di Caterina Vertova). Atmosfere intense ma rarefatte. L’idea che l’aria sia qualcosa che prendiamo continuamente in prestito e subito restituiamo. La violenza come furia improvvisa ma non inaspettata. La fuga dalla passione da parte dei presunti forti. Lo sgomento smarrito di chi nell’amore aveva invece provato a fuggire. Quando il cinema italiano si lancia sulle evocative orme di Kieslowski (ma il protagonista e qualche idea vengono da “Rosetta”, essiccato capolavoro dei belgi Dardenne), è inevitabile che si incarni nell’interprete/spettatrice Barbora Bobulova. A differenza del figurativo “Cuore sacro”, qui i suoi primi piani brillano interiori. Assai bravo il regista deb Stefano Pasetto nel dare forma allo stile.

Ilaria Scala - 8/5/2005 da PAROLAE - Torna su (Up)

Tutto si può dire, di Tartarughe sul dorso, ma non che non sia un film ispirato.
Buone le pennellate psicologiche, buona la musica (della Banda Osiris), interessante il montaggio (con questa lunga partita a Scarabeo che percorre tutta la storia, lucido intreccio di parole per chi per anni non è riuscito a parlarsi). Buona l'atmosfera desolata, ottimi e intensi gli attori Barbora Bobulova e Fabrizio Rongione.

dal Forum spettatori di Movies.it - Torna su (Up)

Ho avuto la fortuna di assistere all'anteprima del film, e poi di conoscere sia Barbora, che Stefano Pasetto, e devo dire che oltre ad essere un bel film, loro sono davvero persone squisite. Il film mi è piaciuto molto per come è stato interpretato da Barbora, ma anche per come è stato pensato da Pasetto. La trama potrebbe essere una delle piu' scontate, ma il genio di questo regista ha fatto si che l'attenzione dello spettatore sia sempre al massimo anche nei tratti più lenti del film. La città di Trieste è un degno scenario dipinto con tratti anni 70 e l'immagine un po sfocata e sporca rende tutto molto più vero. Lo consiglio a tutti coloro che vogliono vedere un film diverso e soprattutto non scontato.
Giampaolo Italia, 2005

 

TURTLES ON THEIR BACKS (TARTARUGHE SUL DORSO) (Variety) - Torna su (Up)

JAY WEISSBERG
Words on a Scrabble board trigger memories of surreptitious glances and near meetings in "Turtles on Their Backs," an ambitious, beautifully played meditation on the cross-currents of two lives that barely touch yet seem constantly connected. Novice helmer Stefano Pasetto starts with a nameless man and woman and builds their recollections in the same manner as the letters from the game, one off another, jumping time but keeping within a more-or-less linear narrative. This well-sustained, unpretentious meditation on the power of memory should do best at smaller fests, where it can stand out. […] While Pasetto's structure is complex, this is no "Marienbad," and he never questions the reliability of these memories. Instead, they bounce off each other and shift from the present to the past, intersecting so elements formed from each perspective occasionally connect in "Elephant" fashion.
There's more here than mere recollection, however: Inextricably tied in are considerations of communication, loneliness and fear of intimacy that all conspire to thwart fulfillment. If at times it feels as if Pasetto is unsure how to combine his experimental structure with more traditional forms of narration, he shows great subtlety in this first feature, and doesn't let the serious mood negate passages of humor.
In her most mature work yet, Bobulova ("The Spectator," "Mirka") offers a moving, sensitive portrait of world-weariness, like someone whose inner flame has preternaturally blown out; in this, she's nicely paired with Rongione's angry young man.
Pasetto's feel for colors is apparent in his careful matching of shades to mood, especially in the way he's worked with the art director and costume designer. Title refers to the inability of turtles to right themselves unaided when flipped over.

 

da FRAMEONLINE Paola Galgani, 25/10/2004 - Torna su (Up)

[…] Un film dai toni delicati, ma in realtà duro e sincero, in cui il regista manifesta la sua particolare sensibilità per le piccole cose di ogni giorno, e ci trasmette la sua visione originale della vita, fatta di frammenti, di ricordi d’infanzia, di doni fatti di nascosto e di odori del passato.
All’originalità della sceneggiatura, giocata su pochi dialoghi e molti silenzi, fanno riscontro scelte di regia ben studiate e una fotografia suggestiva che rappresenta Trieste in tutta la sua gelida accoglienza. L’uso di elementi come un evidente simbolismo - la tartaruga che dà il titolo al film, il gioco dello scarabeo, il filo da acrobata - e i numerosi flash-back e intrecci temporali che ne seguono, lungi dall’appesantire lo scorrere della narrazione, accendono maggiormente la curiosità verso una storia ben lontana dai soliti cliché. Il senso di vuoto e di disperazione, l’angoscia, l’autodistruzione, una sensibilità tesa all’estremo, l’impotenza di fronte al destino, lo stupore di fronte alla scoperta che dei frammenti di secondo possono cambiarci la vita: questi i temi, profondamente umani, che il regista ci propone e che i protagonisti incarnano alla perfezione con i loro sguardi e le espressioni intense. Pur se adulti, Lui e Lei hanno conservato un qualcosa di infantile nel loro vivere, spiando il mondo dai suoi angoli più inusuali. Nel loro disorientamento, quando finalmente sono messi nella condizione di poter scegliere, di fronte al destino fanno fatica a riconoscerlo e ad accettarlo e fanno scelte d’istinto e non di razionalità.
Fabrizio Rongione e Barbora Bobulova sembrano perfettamente a proprio agio nei loro ruoli di disadattati in una città dall’identità incerta e mutevole come Trieste. Entrambi esprimono perfettamente l’inquietudine e un senso di attesa indeciso tra la rassegnazione e la speranza; i loro sguardi, stralunato quello di Lui, deluso quello di Lei, incarnano la rabbia repressa (e pronta a esplodere) di chi, a costo di soffrire, non accetta di piegarsi alle regole e alle aspettative altrui. Così anche il regista ha scelto di non dare allo spettatore ciò che solitamente si aspetta ma ha fatto delle scelte coraggiose e sincere per un’opera in cui, evidentemente, credeva in modo totale.
Il film, che ha potuto usufruire del contributo del Ministero dei beni culturali, è stato presentato alla 61a Mostra di Venezia nella sezione Giornate degli autori.

 

da CINECLICK.IT - Torna su (Up)

Il giovane regista Stefano Pasetto, qui al suo primo lungometraggio, costruisce una storia d’amore originale, incentrata sulle casualità della vita e sui tempi che non si incastrano, come in un gioco da tavolo con un difetto di fabbrica. Subito appare, infatti, una partita di Scarabeo tra un uomo e una donna, in cui le parole man mano composte ci svelano i frammenti successivi delle vite dei protagonisti.
Un “Lui” dallo sguardo stralunato del disadattato e una “Lei” con gli occhi tristi arrivano a Trieste per cominciare una nuova vita. Lui non riesce ad integrarsi neanche nel microcosmo di una pasticceria, in cui il suo individualismo rabbioso prevale sullo sforzo di seguire le regole; Lei soffoca i suoi desideri nella fatica quotidiana di un pesante lavoro notturno. Entrambi rifuggono con ostinazione i rapporti con gli altri, finché, dopo anni in cui sfiorano inconsapevolmente, vengono a contatto in modo drammatico e inaspettato e si scoprono uguali. Lei sceglie di lasciare tutto ciò che aveva costruito fino a quel momento, bello ma falso, mentre nell’uomo scatta il desiderio di proteggerla, prima dal pericolo di contagiarla con la sua rabbia, poi dalla violenza altrui. E spinge quest’istinto all’estremo, fino a perdere in suo nome la libertà duramente conquistata.
La trama, costruita con cura, ribalta i cliché della classica storia d’amore; gli eventi si dipanano fluidamente, pur sgretolandosi in continui sbalzi temporali.
Frammenti del passato, vissuti o immaginati,si infrangono contro la durezza del presente, riducendosi solo alla fine in un imprevedibile cerchio.
Sui dialoghi scarsi ma intensi prevale il non-detto: urla non gridate, lacrime non versate, parole non pronunciate. Il regista, nonché sceneggiatore, adopera un tono narrativo neutro, sembra non esprimere giudizi, prediligendo un simbolismo elementare (il gioco dello Scarabeo, il filo da acrobata, la tartaruga pegno d’amore) ma che riesce a non cadere nella banalità grazie alla sua impronta sincera.Tratteggiando situazioni ricche di inventiva, ci presenta personaggi carichi di umanità e contraddizioni, a partire dai protagonisti intensamente interpretati da Fabrizio Rongione e Barbora Bobulova fino ai personaggi secondari, mai schizzati superficialmente ma ognuno con la sua originalità carica di spunti.
Alla storia fa da sfondo una Trieste dai colori invernali, malinconica e onirica, arricchita dalla bella fotografia di Paolo Bravi. Nel complesso dunque una prova riuscita, condotta superando il timore di spiazzare lo spettatore tramite l’uscita dai binari consueti.

 

da CINEMA.IT - Torna su (Up)

Il gioco dello Scarabeo usato come strumento di conoscenza dentro le vertigini emozionali scandite dai capricci del destino, nel fragile ma promettente esordio di Pasetto, con un passato di documentarista, in Tartarughe sul dorso, quasi una love story tra esistenze marginali, in una Trieste notturna e piovosa fotografata come una città irreale. Il regista nel raccontare i disagi della precarietà sceglie uno stile minimale e l’uso del montaggio incrociato per evidenziare l’indifferenza verso chi resta estraneo ai meccanismi produttivi e sceglie una rielaborazione personale della solitudine

 

da CLOSE UP TARTARUGHE SUL DORSO di Simona Morgantini [settembre 2004] - Torna su (Up)

Strutturato sulla falsa riga di un melò, Tartarughe sul dorso narra la storia d’amore infelice e complicata di due giovani: semplicemente “Lei” e “Lui”, due personaggi reali e concreti e ben costruiti a livello narrativo nonostante l’astrattezza dei nomi. La città in cui si consuma la storia d’amore, storia che risente di forti suggestioni del cinema di Antonioni, è una triste e bellissima Trieste immortalata dalla splendida fotografia di Paolo Bravi. Trieste è una città che fonde molte culture europee proprio come il cinema di Stefano Pasetto che, allievo di Kieslowski e amante del cinema della nouvelle vague, esordisce felicemente con un’opera prima piena di poesia e sotterranee simbologie filosofiche. Il mare autunnale fosco e inquietante è testimone del primo incontro fra i due protagonisti: una sorta di imprinting avvenuto quando i due erano ancora in tenera età. […] L’ imprinting insomma è fondamentale e se l’energia che si scatena dall’incontro è molto forte l’evoluzione del rapporto lo sarà altrettanto. Il ripetersi ciclico delle situazioni avviene come se i protagonisti dovessero imparare qualcosa da queste esperienze.
Pasetto afferma che la tartaruga viene scelta simbolicamente perché trattiene sotto un guscio forte e tenace una parte molle e tenera come i sentimenti e i ricordi dei protagonisti. C’è una simbologia anche nei personaggi: Lei è cervellotica ed eterea e il suo ricordo si fissa sul punto della nuca, Lui invece è pura istintualità e carnalità e schiavo per sempre di questa forza vulcanica e impetuosa che non riesce a trattenere e non a caso verrà colpito alle gambe. I due protagonisti risultano entrambi molto convincenti e Barbara Bobulova conferma la sua bravura nei personaggi timidi e sofferti (come già aveva fatto nel film La spettatrice”di Paolo Franchi).
I dialoghi abbastanza letterari rientrano in perfetta armonia con il contesto stilistico

 

da FILMUP.COM di Teresa Lavanga - Torna su (Up)

Ripensare alla propria vita come ad una serie di occasioni mancate, di persone sfiorate, di frasi non dette […]. Trieste, città malinconica, di confine, città sempre alla ricerca di una sua identità eppure con una identità fortissima, fa da scenario ad una storia di amore post moderno, un amore che va oltre i canoni classici, un amore che rompe ogni regola, un amore per nulla tenero e affatto scontato. Non ci sono nomi, i due innamorati (se così si possono definire) potrebbero essere chiunque, così come non ci sono scelte logiche. Tutto è immediato, istintivo. Dopo una serie di incroci fortuiti e casuali, in cui si toccano fuggevolmente, i due si ritrovano in una sala operatoria e finalmente si riconoscono, ma a questo punto il sogno si trasforma in realtà ed il risveglio, per quanto possa sublimare i sensi, non riesce a soddisfare lo spirito. […]

 

da UNDICOM - Torna su (Up)

Trieste, città di confine e luogo di incontri, è stata scelta da Pasetto come cornice di una singolare storia d’amore raccontata nella sua travagliata genesi. Tempi dilatati, l’occhio si sofferma su particolari apparentemente insignificanti. […]
Il filo conduttore della narrazione è doppio: da un lato la ripetizione di una formula crea una sorta di ritmica poetica, assecondata da immagini il cui ritmo ricalca quello dell’anima; dall’altro il gioco dello scarabeo, onnipresente nei momenti di intimità, anticipa, per mezzo delle parole che si formano sul tabellone, le tematiche della sequenza successiva. […] La mancanza di nomi propri non solo implica la possibilità di una più immediata identificazione dello spettatore, ma amplifica anche il livello di intimità dei personaggi costretti a un dialogo diretto. Un sottile simbolismo permea i pochi riferimenti alla concreta vita dei personaggi, a partire dalla tartaruga della protagonista. È inevitabile uscire della sala chiedendoci se anche nella nostra vita c’è una tartaruga, e se mai un giorno se ne andrà per lasciare posto a una nuova realtà.
L’interrogativo retorico suscitato dal film è lo stesso che tormenta abitualmente ognuno di noi: esiste un destino che ci fa incontrare, perdere, ritrovare...?

 

Estratto da "La Nuova Venezia" - Torna su (Up)

Estratto da "La Repubblica" - Torna su (Up)

Estratto da "Lorena" - Torna su (Up)